STORIA
La Collegiata di Castell’Arquato sorge nell’omonimo borgo medievale che la ospita, situato nella provincia di Piacenza. La datazione presunta di questo luogo di culto risulta ascrivibile – in base al ritrovamento di alcuni oggetti – al VIII secolo, precisamente al periodo 756-758. Ad ogni modo sembra che la nascita di questa pieve sia avvenuta per volere di un potente signore locale di origini longobarde, chiamato Magno; le documentazioni scritte, infatti, riportano informazioni sulla riedificazione del borgo (secondo la struttura degli antichi borghi medievali), e sull’allargamento della Collegiata, ma non viene menzionata alcuna data precisa riguardo alla costruzione. Si suppone, dunque, che la funzione di pieve battesimale di questa prestigiosa chiesa sia molto più antica. La struttura, di notevole pregio artistico, a seguito di un violento terremoto subì danni evidenti, e venne completamente ricostruita e riconsacrata nel 1122: tale evento rese ovviamente più difficile la ricostruzione filologica della sua storia. Questa pieve presenta diverse e importanti particolarità: di notevole importanza, ad esempio, è la vasca battesimale, situata nella piccola abside posta in fondo alla chiesa, ed è proprio la costituzione e la materialità di questo oggetto che ha permesso l’iscrizione della chiesa a un determinato periodo. Altri fondamentali elementi vennero aggiunti in epoche successive: secondo alcune testimonianze, la fisionomia della struttura mutò considerevolmente dopo la metà del Trecento, momento in cui il nevralgico cuore della città si spostò dal centro spirituale verso il centro amministrativo, creatosi con l’edificazione del vicino Palazzo del Podestà. Durante tale periodo (XII, XIII secolo) venne anche eretta la torre campanaria, sulla navata inferiore di sinistra, e venne costruito il “Portale del Paradiso”, utilizzato come luogo di memoria e culto per le tombe dei personaggi illustri. Le statue che adornano l’ambone, gli Evangelisti, Geremia e l’Annunciazione, sono da attribuirsi alla scuola di Piacenza del 1170. Risalente al XII secolo è anche la costruzione del chiostro e il suo accesso particolarmente affascinante, così come le sculture che all’interno della chiesa affiancano l’altare maggiore e gli altari absidali, ritenuti parte di una recinzione corale. A questo periodo appartengono anche i capitelli, tutti scolpiti e istoriati. Entrando dalla navata centrale si rimane inoltre colpiti da un austero crocefisso monumentale che sovrasta l’altare con le sue dimensioni imponenti, collocato nella zona absidale; la datazione di questo reperto è stata ipotizzata per la fine del XIII secolo. Negli anni successivi non si registrarono particolari modificazioni della mappatura strutturale. Solo nel 1630 venne costruita la cappella dedicata al Santo patrono del borgo, San Giuseppe, edificata in stile barocco sulle fondamenta di una cappella più antica, mentre sarà il ’700 il periodo in cui si registreranno le modificazioni più importanti. Secondo alcune documentazioni, infatti, l'interno della chiesa era completamente intonacato, come anche i capitelli e le colonne; le monofore furono sostituite da ordinari finestroni rettangolari, mentre il tetto a capriate venne coperto da una volta incorniciata di stucchi. Per importanza e pregio artistico vanno annoverati i numerosi affreschi che adornano l’interno della pieve, che è, infatti, ricca di stucchi e dipinti, effettuati ad opera di Giacomo Guidotti, e che rappresentano lo sposalizio di Maria e la nascita di Gesù. Si conserva inoltre un affresco raffigurante la Trinità che risale però a un’epoca più tarda (inizi XV secolo), e realizzato da un pittore romano anonimo. Tutti questi affreschi vennero ripristinati attraverso pesanti interventi di restauro che cercarono di rimediare l’emergenza artistica che aveva colpito l’intonaco della chiesa nel 1700. Nel 1730 venne demolito il muro esterno della facciata di sinistra per costruirvi tre cappelle. A partire dal 1899, un professore dell’Accademia di belle Arti di Brera scoprì interessanti pitture, affreschi quattrocenteschi della cappella di Santa Caterina, e con un paziente e lungo lavoro di restauro ricostituì tutti gli affreschi dell’organismo. Nel corso del Novecento, in particolare nel 1911, 1912 e 1913, vengono operate modificazioni o ripristini incisivi, viene ad esempio ricostruita la loggetta di San Giovanni e la quarta absidiola. Nel 1917-1919 furono inoltre ripristinate all'esterno le absidi minori. Negli stessi anni fu anche modificata la facciata principale, chiudendo una finestra sul lato sinistro e sostituendo il rosone preesistente con una bifora. Nel 1923 furono rifatti alcuni archi di sostegno e nel 1927 furono restaurate le finestre del coro. Nel 1935 venne infine rimesso in luce l'originale soffitto a capriate che era coperto dalla volta settecentesca.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La facciata della chiesa si presenta con linee e forme semplici tipicamente ascrivibili alla produzione romanica. Una caratteristica che desta particolare curiosità è la composizione della struttura a due spioventi, volta a permettere l’entrata anche sull’altro lato della chiesa, quando il centro cittadino si spostò verso il Palazzo delle Podestà; e proprio per dare maggior rilievo al lato della struttura rivolto verso il palazzo comunale, venne costruito il Portico del Paradiso. L’abside centrale è ripartita da sottili colonne e in alto riporta una loggia. Procedendo verso l’esterno della pieve, notiamo che la struttura presenta tre absidi accostate alla cappella del battistero, di cui particolarmente interessante è l’ultima, che esibisce finestre larghe e basse, con sguancio multiplo rispetto a quelle dell’abside maggiore, più piccole e a sguancio singolo. Il portale laterale è la testimonianza scultoria più importante di tutto il complesso: l’edificazione del Portico del Paradiso ne fece infatti l’accesso principale. Esso presenta una strombatura a fascio di piccole colonne che proseguendo verso l’alto arrivano a disegnare un archivolto, che sottende una lunetta. I capitelli dell’archivolto sono decorati con fogliame. La ghiera presenta dei riquadri decorati, mentre l’architrave è sorretto da due telamoni, sculture tese probabilmente a simboleggiare la personificazione dell’Usura e dell’Avarizia. Di notevole importanza per quanto riguarda la produzione romanica risulta essere il chiostro trecentesco situato sul fianco destro della chiesa, dal quale oggi si ha la possibilità di accedere al Museo della Collegiata, che conserva diversi reperti romanici.
La struttura interna della chiesa si espone a tre navate, con una copertura a capriate, e, come già detto, con un accesso frontale e mediano. Le colonne, sette per ogni lato della pieve, sono tutte realizzate in pietra arenaria e sono di rilevante imponenza (un metro di diametro). I capitelli interni risultano particolarmente compositi, la loro forma a quadrifoglio è sovrastata da semi capitelli scolpiti da simboli floreali o zoomorfi a loro volta sovrastati da un abaco rettangolare con decorazioni a spirale. Di ragguardevole prestigio artistico sono anche le sculture dell’ambone che raffigurano l’Annunciazione.
LETTURE CONSIGLIATE
M.G. Genesi, Castell'Arquato – Archivio della Chiesa Collegiata – Catalogo dei Manoscritti Musicali, Piacenza, Tip. Emilstampa, 1987, pp. 40
STORIA
La chiesa di Santo Stefano sorge tra la Rocca dei Bentivoglio e la Torre dell’Orologio, all’interno delle cinta muraria nel comune di Bazzano, territorio che assunse un ruolo centrale nella difesa di tutta l’area occidentale della collina bolognese. Il primo documento che attesta l’esistenza di questa struttura è datato 798 ed evidenzia la funzione che assunse l’antica pieve nelle contese politiche avvenute tra Modena e Bologna per l’attestazione delle proprietà terriere appartenenti ai due comuni. Nel X secolo la chiesa faceva parte della giurisdizione vescovile modenese, mentre nel 1204 spettava a quella bolognese. Le alterne vicende giurisdizionali si conclusero definitivamente per volontà di Bonifacio IX con il passaggio nel 1398 ai bolognesi. Nel corso dei secoli l’edificio venne affiliato ad altre chiese, d’importanza maggiore: nel 1155 ad esempio Santo Stefano appartenne alla Pieve di Monteveglio, mentre tra il XIV e XV secolo fece parte delle proprietà della Chiesa di Sant’Andrea a Corneliano. Nel 1573 invece con l’aumento di densità della popolazione venne eretta a chiesa autonoma, assumendosi le dipendenze delle parrocchie di Crespellano, Pregatto, Oliveto, Montemaggiore e Montebudello. Tra il XVI e il XVII secolo, la Rocca dei Bentivoglio venne ristrutturata, e questa operazione di restauro coinvolse anche la chiesa, che assunse l’attuale orientamento, con abside verso ovest ed ingresso verso est. Seguirono poi ulteriori interventi di alterazione della struttura originaria: nel Settecento ad esempio venne ampliata costruendo la cappella del Santissimo Sacramento, da parte dell’architetto Francesco Tadolini, venne poi ulteriormente ingrandita nei primi decenni del Novecento con l’erezione della navata sinistra. L’ultimo intervento avvenne in relazione ai bombardamenti del 1944, momento in cui l’emergenza artistica determinò anche un recupero di quella che era la configurazione primaria della struttura, tant’è vero che l’attuale facciata, risalente al restauro del 1945, richiama in particolar modo gli stilemi romanici: così le semicolonne, i capitelli, e il rosone, rimandano al presunto aspetto originario.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Grazie al ritrovamento all’interno della chiesa di uno dei più antichi reperti attualmente conservati, probabile frammento del portale in pietra d'impronta longobarda o carolingia, non sono da escludersi le origini bizantine della struttura. Nel periodo tra il XIII e il XIV secolo, la chiesa venne, infatti, influenzata dallo stile romanico, che lascia le sue tracce, grazie alla presenza di un frammento di capitello in arenaria, decorato con un rosone a sette petali e forme gigliate, conservato oggi presso il Museo Civico “Arsenio Crespellani” nella Rocca dei Bentivoglio. Ma anche l’edificio presentava in quel periodo una strutturazione pienamente riconducibile all’epoca romanica, era, in realtà, a navata unica, con abside rivolto verso est. La mappatura attuale della chiesa presenta una suddivisione a tre navate, con abside rivolto verso ovest e facciata lineare. All’interno della pieve sono riportate delle opere moderne di pregevole interesse artistico, come ad esempio il Santo Stefano, posto sull’altare, di Simone Canterini, e alcune tele di Gaetano Gandolfi.
STORIA
La Basilica di San Savino viene a costituirsi come una tra le più importanti testimonianze architettoniche romaniche dell’Italia Settentrionale. È situata sulla via Alberoni nella città di Piacenza, ed è intitolata a San Savino, secondo vescovo di Piacenza e fondatore della stessa basilica nel IV secolo. La data di fondazione di questa prestigioso edificio cultuale è supposta essere il 394, momento in cui San Savino cercò di organizzare la vita spirituale e comunitaria dei piacentini, adottando una modalità liturgica propria, che rimase in vigore fino al Concilio di Trento; San Savino morì nel 420 e il suo successore San Mauro decise di preservarne le spoglie nell’altare maggiore della basilica. Nel 902 la città di Piacenza fu colpita dalle invasioni barbariche: gli Ungari distrussero in gran parte la struttura, che fu nuovamente eretta dal Vescovo Everardo nel 903, ma un’ulteriore razzia barbarica la rase nuovamente al suolo, nel 924. La chiesa fu infine interamente ricostruita nell’XI secolo. Il primo documento che testimonia una datazione certa della presenza di questa struttura è del 15 ottobre 1107, anno in cui avvenne la consacrazione della complesso, celebrata dal vescovo Aldo. La chiesa godette di un periodo di grande floridezza fino al XV secolo; nel 1495 passò poi ai padri Geronimini. Durante il periodo barocco subì diverse trasformazioni, consuete in quel periodo: nel 1721 ad esempio venne ricostruita la facciata con un portico retto su colonne binate. Nei secoli successivi non si registrarono ulteriori modificazioni della mappatura originaria. Sarà solo nel 1903 che inizierà un lungo intervento di restauro diretto da Ettore Martini, che decise di rispettare la facciata barocca, ma ripristinò l’interno della chiesa. L’operazione riguardò per lo più le absidi e la cripta.
NOZIONI STORICO – ARTISTICHE
L’interno della basilica si presenta con linee razionali e severe, con sobrie murature in mattoni a vista, archi e pilastri in pietra. La sua mappatura è strutturata in tre navate, triabsidata, e i sostegni sono posti in un sistema alternato con una copertura a volte a crociera; sette sono le coppie di pilastri polistili in pietra: quelli principali riportano otto elementi (quattro sono infatti gli spigoli nel quadrato e quattro sono le semicolonne addossate), mentre quelli di minore importanza riportano solo quattro elementi, mancano infatti gli spigoli. I capitelli sono tutti scolpiti con figure zoomorfe e fantastiche. Le campate sono tre nella navata principale e sei nelle navatelle. Nella terza campata è da notare il presbiterio, collegato alla cripta tramite una scalinata discendente. L’elemento più prestigioso del complesso di San Savino è la presenza di due mosaici pavimentali che accrescono la sontuosità e la bellezza del pavimento del presbiterio e della cripta; il primo presenta un composizione metaforica dalla quale emergono le virtù cardinali (vi sono infatti rappresentati guerrieri in lotta e diversi animali), il secondo, più antico, presenta un fondo marino dove sono collocati i dodici mesi dell’anno. Il presbiterio non è rialzato e dunque la cripta risulta, di conseguenza, sotterranea, estendendosi in lunghezza all’interno del presbiterio. La sua copertura è costituita da volte su colonne che suddividono lo spazio in tre navate e otto campate, dove sono presenti circa trenta capitelli, quasi tutti scolpiti. Da notare come anche gli elementi d’arredo vengano a costituirsi come un’importante testimonianza medievale: va segnalato, infatti, il crocifisso posto nell’abside, rara scultura in legno giunta fino a noi dall’epoca romanica. Procedendo verso l’esterno della struttura, notiamo le alterazioni poste nel 1700 alla facciata principale, mentre il resto dell’edificio è chiuso nel complesso del monastero realizzato all’epoca dei benedettini. Sul lato nord della struttura si può notare l’abside mediana e un’absidiola, ricostruite in epoca moderna; al lato opposto notiamo invece il campanile con un cono cestile lombardo.
LETTURE CONSIGLIATE:
Sergio Stocchi “Italia Romanica, L’Emilia Romagna”
STORIA
Il Duomo di Parma costituisce con il vicino Battistero uno dei monumenti più importanti del romanico padano e ha una struttura particolarmente complessa dovuta al protrarsi nel tempo dei lavori. Grandi artisti hanno lavorato nel corso dei secoli per la Cattedrale di Parma: il cantiere del Duomo ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della scultura romanica italiana attraverso la personalità di Benedetto Antelami (1150 – 1230 circa). Nel corso del Cinquecento, inoltre, furono numerosi gli artisti che si susseguirono per abbellire la chiesa, così che le pareti e le volte sono interamente ricoperti di grandiosi affreschi, tra cui spicca L’Assunzione della Vergine, capolavoro pittorico del Correggio (1489 – 1534) eseguito nel periodo compreso tra il 1526 e il 1530 che anticipa lo stile barocco.
Osservando il possente edificio si riscontrano influssi con il romanico lombardo (le Cattedrali di Piacenza e Cremona hanno notevoli analogie con il Duomo di Parma) e il romanico d’oltralpe, soprattutto germanico, comunque rielaborati secondo il gusto locale.
La consacrazione del Duomo a Santa Maria Assunta fu celebrata nel 1106, sotto il pontificato di Pasquale II. Un documento datato 884 attesta l’esistenza di una primitiva Cattedrale “infra civitatem parmensem”. La costruzione dell’ attuale Duomo cominciò sotto il vescovo Cadalo ( 1046 – 1071), dopo che un incendio nel 1058 aveva distrutto la chiesa precedente. Come attestato nel Chronicon Parmense, la Cattedrale subì danni durante il terremoto del 1117 (“magna pars Ecclesiae Sanctae Mariae dirupta est”) , ma i lavori proseguirono per mano di Benedetto Antelami. La Cattedrale venne terminata intorno al 1178, quando l’Antelami elaborò il pulpito di cui oggi rimane solo la raffigurazione della Deposizione di Cristo .
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Esterno
La facciata a capanna, nella sua chiarezza plastica ottenuta attraverso l’equilibrio di elementi strutturali e decorativi, si inserisce coerentemente alla tradizione del romanico padano – lombardo (facciata di San Michele a Pavia). È in pietra e presenta tre ordini sovrapposti. Nel primo ordine si trovano tre portali . Il portale centrale presenta un protiro con leoni stilofori eseguiti nel 1281 da Giambono da Bissone. La fascia mediana è composta da due ordini di loggette percorribili a trifore con colonnine in marmo veronese. Probabilmente in origine esse dovevano essere continue, essendo il protiro di costruzione posteriore. Nel bordo inferiore dell’arco del protiro è scolpito il bel rilievo
dei mesi che risale al XII secolo. Il fregio continuo del portale è scolpito con scene di caccia e animali mostruosi. Anche la loggetta della sommità del fronte, che segue la linea del tetto, è percorribile. La decorazione della facciata riprende il motivo delle loggette sovrapposte delle absidi, generando forti contrasti chiaroscurali.
La zona presbiteriale all’esterno è caratterizzata da effetti plastici grazie al susseguirsi di volumi squadrati e semicilindrici decorati con lesene e arcate cieche terminanti con loggette.
La torre campanaria è quadrata, secondo la tipologia del romanico lombardo, con sottili lesene verticali. L’elegante trifora e la guglia di coronamento, risalgono alla fine del XIII secolo e sono di chiara ispirazione gotica.
Interno
La Cattedrale di Parma è a croce latina, con tre navate e transetto ad aula unica conclusa con nicchie semicircolari. L’interno presenta il corpo longitudinale caratterizzato da un forte verticalismo dovuto ai pilastri compositi alternati a pilastri a fascio, con capitelli e con semicolonne, sui quali poggia la copertura ad alte volte con costoloni a sesto acuto. L’interno del Duomo risulta così maestosamente imponente. I matronei, a differenza del Duomo di Modena, sono percorribili. Sono formati da quadrifore con capitelli decorati con motivi vegetali e temi simbolici come la Signora dell’Apocalisse. Le ghiere degli archi poggiano su peducci a forma di testa di animale o umana.
Lo slancio delle strutture è accentuato dalla sopraelevazione del presbiterio sulla cripta culminante nel tiburio, in cui nel XVI secolo è stata innestata la famosa cupola .
La vasta cripta con volte a crociera presenta capitelli scolpiti con motivi fitomorfi del XII secolo, mentre i capitelli delle navate sono scolpiti anche con parti figurate e sono probabilmente posteriori ai capitelli della cripta. Le sculture sono state attribuite dai critici a diverse mani anche se risulta una omogeneità stilistica . La personalità dominante è “Il Maestro dei Mesi”, che ha eseguito anche il Ciclo dei Mesi nell’archivolto del protiro.
Come già detto, lo scultore più importante che ha lavorato nel cantiere del Duomo di Parma è Benedetto Antelami. La Cattedra episcopale risulta poderosa e plastica: i due telamoni, le scene nei due fianchi raffiguranti San Giorgio che uccide il drago e La conversione di San Paolo, sono saldamente armonizzati nella struttura cubica della Cattedra. Nella Deposizione di Cristo egli si distacca al realismo di Wiligelmo (che decorò il Duomo di Modena), ravvivando i contenuti e ottenendo sculture eleganti ed equilibrate che mostrano la sua adesione ai modelli d’oltralpe, grazie
probabilmente a un soggiorno in Provenza. L’equilibrato rilievo è inquadrato da una fascia vegetale e arricchito da iscrizioni con i nomi dei vari personaggi che animano la scena, come in un codice miniato. Nella parte in alto a destra vi è la firma dello scultore. Le figure sono saldamente ancorate alla cornice inferiore, ben delineati sono i panneggi, che creano forti contrasti di luci e ombre. La croce del Cristo divide armoniosamente la scena in due parti uguali dove si dispongono i personaggi. La divisione del mondo cristiano alla destra del Cristo da quello pagano, a sinistra, è sottolineato dalle personificazioni del sole e della luna che simboleggiano il bene e il male. Antelami crea nel Duomo di Parma, e ancora di più nel Battistero di Parma (dove lavorerà sia come architetto che come scultore intorno al 1200), una nuova distribuzione dello spazio propria della scultura gotica.
STORIA
L’idea della nascita della nuova cattedrale di Ferrara coincide con la volontà di affermazione dell’autonomia della città, fino a quel momento assoggettata all’influenza della diocesi di Ravenna. A seguito del tentativo di emancipazione dell’allora vescovo della città, Landolfo, abbiamo il primo passo per la costruzione del nuovo Duomo. Nel 1139 la bolla di Innocenzo II sancisce sia l’indipendenza di Ferrara da Ravenna sia il benestare per la costruzione di una nuova cattedrale. Infatti l’antico San Giorgio si trovava in una zona piuttosto decentrata, al di fuori della cinta muraria. Per la scelta si privilegia un terreno di recente bonifica, atto per le sue dimensioni ad ospitare sia il centro della vita religiosa sia quello della vita politica. Nel 1133 si diede inizio ai lavori per la costruzione della nuova cattedrale, che ebbe tra i suoi principali finanziatori Guglielmo degli Adelardi, a cui appartengono anche le idee fondamentali circa l’edificio. Una lapide rinvenuta durante i lavori di restauro del 1925 certifica che “Glielmo fo l’auctore”, oltre che il principale finanziatore dei lavori, e che la mano delle splendide sculture che arricchiscono la cattedrale è quella di Nicolaus, allievo di Wiligelmo e Lanfranco a Modena. Il 1135 è l’anno della consacrazione della cattedrale a San Giorgio, patrono della città, come testimonia l’iscrizione in volgare presente nell’atrio della chiesa. La cattedrale che oggi si erge maestosa sulla piazza è frutto di numerose risistemazioni, testimoniate dall’estrema eterogeneità degli stili che vi si possono leggere. I primi interventi sull’assetto originale risalgono al XIII secolo e interessano la parte superiore della facciata principale sulla quale furono aggiunte le cuspidi laterali, le logge superiori e la loggetta sopra il portale mediano. Successivamente, le addizioni seguirono le linee del gotico internazionale. Una serie di interventi rilevanti risalgono all’età di Ercole I, il quale commissionò a Biagio Rossetti, il più importante architetto locale, il compito di intervenire sull’edificio. In quell’occasione, Rossetti allargò il coro e costruì l’abside. Per quanto riguarda l’interno della chiesa, le navate hanno assunto l’attuale aspetto barocco solo in seguito ad un rovinoso incendio che distrusse la precedente sistemazione.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
ESTERNO
Nonostante le numerose stratificazioni di stili che caratterizza la maestosa cattedrale di San Giorgio, l’occhio attento del visitatore riuscirà a scorgere, sotto il tripudio di linee gotiche presenti nella parte superiore della facciata, l’originario impianto di epoca romanica. Tale impianto è evidente soprattutto nella parte inferiore dell’edificio: un inconfondibile elemento romanico è rappresentato per esempio dall’imponente e austera parete bianca su cui si aprono i tre ampi portali. Fulcro dell’intero edificio è il meraviglioso protiro che, per varietà di bassorilievi e sculture, rappresenta una delle vette più alte del romanico padano. L’opera è unanimemente attribuita al grande scultore Nicolaus, probabile allievo di Wiligelmo nella fabbrica del Duomo di Modena. Alla base della costruzione scultorea vi sono due imponenti leoni, i quali sorreggono sulla loro groppa due telamoni dal volto affaticato. Il protiro culmina poi in un arco, ai lati del quale sono inseriti i bassorilievi di San Giovanni Battista e di una figura, probabilmente Giovanni Evangelista, che in una mano sostiene appunto il Vangelo. La meravigliosa ricchezza scultorea del protiro continua a dispiegarsi lungo l’estradosso dell’arco: esso è infatti decorato con formelle a rosette che convergono verso il centro della volta, sulla quale è presente il simbolo cristologico dell’Agnus Dei. La parte superiore del protiro racchiude e protegge il maestoso portale maggiore, costellato da strombi a fascio di colonnine e pilastrini e culminante con la splendida lunetta racchiusa nell’archivolto. Nella lunetta è poi raffigurato il leggendario combattimento tra il santo patrono della città di Ferrara e il drago. A certificare l’intervento diretto del maestro Niccolò è presente, attorno alla stessa lunetta, un’epigrafe dedicatoria. Magistrale e incantevole è il dinamismo che l’autore è riuscito a imprimere alla scena: il destriero del Santo sembra incedere verso il drago ferito e agonizzante a terra, mentre il santo, con l’elsa stretta nella mano, è sul punto di infliggere la ferita mortale. La resa plastica del cavaliere è eccelsa e sono inoltre ancora visibili le tracce dell’antica policromia. A fare da cornice al bassorilievo vi è poi una decorazione che percorre l’archivolto con tralci che sembrano nascere da un mascherone. L’archivolto poggia su capitelli, dai quali si dipartono i piedritti a fascio, la cui decorazione è costituita da un’Annunciazione e dalla raffigurazione dei quattro Profeti dell’Apocalisse. L’autore ha scolpito figure senza tempo: la resa plastica è evidente solo nei lineamenti del viso, mentre il corpo sembra appena accennato e scolpito sulla colonna. Risalendo lungo il portale, l’osservatore noterà lungo l’architrave, sotto la lunetta, le otto formelle che illustrano vari episodi della vita riguardanti l’avvento e la nascita di Cristo. Vi si possono leggere a partire da sinistra: la Visitazione, il Presepe, l’Annuncio ai pastori, l’Adorazione dei magi, la Presentazione al Tempio e infine il Battesimo di Cristo. Sopra il protiro si innalza la Loggia delle Benedizioni. Costruita in stile gotico, attorno al 1250, la loggia si apre con tre archi decorati, al centro dei quali, tra le due bifore, è posta una Madonna col Bambino del XV secolo. Sopra la loggia si sviluppano, su tre livelli, le storie del giudizio universale. È interessante osservare, sui pennacchi degli archi, i defunti risorti che escono dal proprio sepolcro. Sopra, al centro del fregio presente sull’architrave, si osserva la scena della Psicostasi, ossia della pesatura delle anime. Il corteo dei dannati si svolge verso la destra del protiro, dove si apre una lunetta sulla quale è raffigurata la pentola infernale. Il gruppo dei beati si dirige invece verso sinistra, verso la lunetta sulla quale è raffigurato il Paradiso. Il timpano che corona l’edicola contiene la figura di Cristo Giudice. La sezione gotica della cattedrale, sopra l’originario substrato romanico, viene divisa in tre parti da due contrafforti, ma viceversa unificata dalla presenza dei vari livelli di loggiato. Il visitatore rimarrà certo incantato scorrendo con gli occhi il primo ordine di logge ad archetti a tutto sesto, che appaiono riuniti in trifore sopra le quali sono collocati piccoli rosoni racchiusi in archi a sesto acuto. Un secondo ordine di logge funge invece da base per le bifore, maestose e fortemente strombate. I timpani che coronano le tre cuspidi sono decorati con tre rosoni e impreziositi da arcatelle che percorrono gli spioventi.
FIANCO NORD
Su via degli Adelardi si svolge il fianco nord della cattedrale il quale, non essendo mai stato sottoposto a interventi successivi, mantiene intatto il suo assetto romanico. Il materiale usato per la costruzione è il cotto. Uno sguardo acuto noterà due antiche porte murate: la più ampia, detta Porta del Giudizio, conduceva all’antico cimitero.
FIANCO SUD
Su Piazza Trento Trieste si sviluppa il fianco sud dell’edificio, su cui è possibile leggere le tracce romaniche nella sequenza di archi, sorretti da semicolonne che giungono sino al suolo. Motivo di interesse, pur non essendo state conservate nell’antica forma, sono le botteghe che si aprono sotto il porticato, nella Loggia dei Merciai. Circa a metà della lunghezza del fianco, il loggiato romanico è interrotto da un arco, scheletro del distrutto Portale dei Mesi. La suddetta porta venne distrutta nel 1717. Nel Museo della Cattedrale sono però conservate le formelle che la decoravano. In origine, la porta era probabilmente dotata di un protiro che doveva concorrere con lo splendore del portale maggiore. La decorazione presenta il progetto di una serie di rilievi che simboleggiano i dodici mesi dell’anno e i relativi segni zodiacali. L’autore dello splendido e vivace ciclo di sculture, caratterizzate da un intenso plasticismo, è convenzionalmente chiamato Maestro dei Mesi. La mano di questa forte personalità, quasi certamente un seguace diretto di Benedetto Antelami, è stata riconosciuta anche nella Chiesa di San Mercuriale a Forlì e nella basilica di San Marco a Venezia.
LETTURE CONSIGLIATE
La cattedrale di Ferrara : guida artistica e iconografica a un capolavoro dell'architettura religiosa, Berenice Giovannucci Vigi, Firenze 2000
La cattedrale pitagorica : geometria e simbolismo nel Duomo di Ferrara, Carlo Tubi, Ferrara1989.
Museo della Cattedrale di Ferrara : catalogo generale, a cura di Berenice Giovannucci Vigi e Giovanni Sassu, Ferrara 2010
STORIA
Sul lato meridionale della piazza Aurelio Saffi si affaccia l'abbazia di San Mercuriale che costituisce il complesso monumentale romanico più significativo dell'intera provincia forlivese. La ricostruzione delle sue origini molto antiche risulta difficoltosa a causa della mancanza di notizie storiche sicure sulla fondazione della chiesa primigenia e sulla figura leggendaria di San Mercuriale al quale è dedicata. Infatti il primo documento che accerti l'esistenza di un monastero benedettino, collocato al di fuori delle mura (la città medievale murata era più ad occidente rispetto al centro attuale), è costituito da un atto di donazione dell'8 aprile 894 dell'arcivescovo di Ravenna a favore dell'abate di San Mercuriale in Forlì. Per quanto riguarda invece il periodo precedente emergono solo incertezze e supposizioni. Infatti si è ipotizzato che San Mercuriale, vescovo dell'antica città di Forum Livii, avrebbe fondato nel IV secolo la prima chiesa cristiana dedicata a Santo Stefano – la cattedrale originale – in una zona al di fuori delle mura, ad est della città. Al momento della fondazione seguì una separazione tra la cattedrale che fu trasferita entro le mura nella sede di Santa Croce e la chiesa primitiva la quale venne trasformata in un santuario, sito nell'attuale centro di Forlì, che custodiva le spoglie del suo fondatore; e lì accanto fu istituito anche un monastero benedettino. La storia del periodo successivo al Mille è ricca di lasciti e donazioni che testimoniano l'espansione del monastero e lo sviluppo della città verso oriente che andò ad inglobare anche il territorio di San Mercuriale il quale risulterà da quel momento compreso entro le nuove mura di Forlì. Ma immediatamente dopo l'incendio rovinoso del 1173, che provocò la devastazione della città e la distruzione del monastero, furono avviati i lavori di ricostruzione al fine di riedificare, nell'area della chiesa distrutta, una nuova abbazia in stile romanico-lombardo. A partire dal Cinquecento fino al Settecento, si sono susseguiti innumerevoli rimaneggiamenti barocchi, eliminati sia dai bombardamenti della seconda guerra mondiale sia dai restauri novecenteschi che mirarono a restituire al monumento quella fisionomia romanica che la contraddistingueva fin dal 1176.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
Partendo dall'esterno, la facciata, opera di ricostruzione, risulta interessante soprattutto per la lunetta del portale, dove è inserito il più importante complesso scultoreo romanico. Al centro vi è raffigurata la scena dell'Adorazione con i Re Magi che recano i doni, seguiti sulla destra dalla Vergine col Bambino sulle ginocchia e da San Giuseppe. Sulla sinistra invece la storia del Sogno dei Re Magi è rappresenta dai tre dormienti uno accanto all'altro con l'angelo che appare loro in sogno. Queste sculture, provenienti dalla scuola antelamica, sono scrivibili al XIII secolo e vi si può scorgere in particolare una mano affine a quella del Maestro dei Mesi di Ferrara. Poi spostandoci al campanile di 75 metri, quest'ultimo, posto sul lato destro dell'abbazia, rappresenta uno dei più alti ed interessanti campanili romanici lombardi. Edificato nel 1178 sotto la direzione di Francesco Deddi, possiede pianta quadrata e una guglia di forma conica che svetta in sommità, coronata alla base da quattro torroncini. Le facce della torre sono divise in tre parti da lesene ben evidenti, raccordate da archi ciechi alla base della cella campanaria; invece a livello trasversale, il campanile è suddiviso in cinque piani da cornici ad archetti pensili. Ricordiamo il chiostro quattrocentesco dei monaci vallambrosiani che è posto proprio dietro il campanile e possiede due lati, i quali sono costituiti da loggiati che sono aperti verso l'esterno e l'interno. Passando alla struttura interna di San Mercuriale, essa appare tipicamente romanica, molto sobria e severa, in nudo mattone. Si ipotizza infatti che la ricostruzione delle nuove linee architettoniche sia stato frutto di un'attenta ripetizione di quelle romaniche del XII secolo. La chiesa possiede una pianta basilicale a tre navate, senza transetto, divise nella navata centrale in tre campate da archi trasversali a tutto sesto. Inoltre ciascuna campata è suddivisa in tre parti da archi longitudinali che determinano una scansione in nove campate. In particolare la terza campata era quella dell'antico presbiterio che, precedentemente diviso in due piani - uno sopraelevato per i monaci e una cripta inferiore in cui officiava il clero - fu eliminato in seguito al crollo del 1505. Infatti le attuali pareti della terza campata ne dimostrano la struttura originaria per la presenza di due ordini di archi sovrapposti, dove gli archi inferiori dovevano appartenere alla cripta, quelli dell'ordine superiore costituivano invece il presbiterio sopraelevato. Infine all'interno dell'abbazia si trovano anche altri monumenti di notevole pregio artistico, che sono degni di essere menzionati come il leone stiloforo, che è quanto resta di un protiro che arricchiva il portale, la cappella che contiene il sepolcro quattrocentesco di Barbara Manfredi, moglie del signore di Forlì, eseguito da Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole e un'altra cappella con gli affreschi di Marco Palmezzano (1459-1539). Al termine della navata meridionale è posta una croce in pietra che risale all'alto Medioevo e la Cappella Mercuriale che contiene le spoglie del santo patrono, oltre agli interessanti affreschi di Livio e Gianfrancesco Modigliani, commissionati dall'influente Gerolamo Mercuriali (1530-1606).
LETTURE CONSIGLIATE
G. Spinelli, San Mercuriale a Forlì, in Monasteri benedettini in Emilia-Romagna, Milano 1980.
S. Stocchi, San Mercuriale a Forlì, in Italia Romanica. L’Emilia-Romagna, Milano 1984.
A. Colombi Ferretti, L. Prati, U. Tramonti, Il complesso monumentale di San Mercuriale a Forlì: restauri, Forlì 2000.
STORIA
La ricostruzione storica del Duomo di Reggio Emilia, situato in piazza Prampolini, risulta molto articolata per le diverse fasi costruttive e i numerosi restauri compiuti nei secoli, tuttora in corso. Fino al 903, i documenti più antichi indicano la Cattedrale di Reggio con il titolo di San Prospero, che si identifica in quella chiesa posta al di fuori delle mura della città. Successivamente il Vescovo di Reggio, avvalendosi delle facoltà concessagli dal Re Ludovico III, attraverso l'atto di donazione del 31 ottobre del 900, in seguito all'incursione degli Ungari, decise di far costruire una nuova Cattedrale presso la canonica di Santa Maria, già istituita nell'857. Quindi è probabile che la prima cattedrale di Reggio Emilia sia stata eretta, proprio nella posizione attuale, tra gli anni 904 e 942. Vi sono inoltre versioni differenti che riguardano l'edificazione della chiesa o su di un tempio pagano dedicato a Bacco o su di un tempio in onore di Apollo andato distrutto per ordine di Costantino. Di sicuro a partire dal 979 la nuova cattedrale cominciò la sua stagione di massima espansione, quando il Vescovo Ermenaldo contribuì a rafforzare il suo ruolo, collocandovi le spoglie di San Prospero. Si presuppone inoltre che il Duomo fu ricostruito dopo il Mille, alla fine del secolo XI, il che si accorda perfettamente con le date di edificazione delle più grandi cattedrali romaniche delle altre città dell'Emilia Romagna come Modena e Fidenza. La cattedrale di Reggio però giunse al Cinquecento con un aspetto interno molto disomogeneo in quanto le strutture romaniche convivevano con le volte a crociera del Quattrocento e con il transetto e le absidi di gusto rinascimentale. Al periodo cinquecentesco risale il rifacimento della facciata, commissionato a Prospero Sogari, detto il Clemente, che fece occultare tutta la parte inferiore per collocarvi i marmi del nuovo progetto. Anche l’interno subì una vera opera di omogeneizzazione, con la quale l'architetto senese Cosimo Pugliani inglobò l'antica struttura romanica in una trabeazione dorica. Nel 1623 sul transetto venne innalzata la cupola che fu realizzata dal sacerdote reggiano Paolo Messori e affrescata su progetto dello scenografo reggiano Francesco Fontanesi nel 1779.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
L'antica struttura del Duomo di Reggio, dopo la presunta ricostruzione dell'XI secolo, si rifaceva allo schema toscano, rappresentato da San Miniato al Monte di Firenze. Aveva infatti la pianta a croce latina, a tre navate con transetto ed era contraddistinta dalla presenza della navata trasversale che insieme alla cappella absidale sostituivano la terza campata tipica del modello toscano. Un altro elemento estraneo a questo schema toscano è il tiburio ottagonale che, costruito nel 1269 nell'ambito del cosiddetto restauro Malaguzzi, sovrastava la facciata della chiesa e oggi è rilevabile solo all'esterno, reso evidente dall'attuale torre campanaria. A partire dall'anno Mille, sono state eseguite anche altre numerose opere di considerevole valore artistico proprio come il mosaico pavimentale, l'affresco bizantineggiante con Cristo in mandorla e angeli e santi che fino al 1960 ornava la facciata della chiesa, i resti dell’ambone antelamico dei primi del XIII secolo e i leoni stilofori, oltre agli affreschi, alle colonne, ai capitelli e ai resti dei matronei di epoca romanica. Partendo dal mosaico pavimentale, che si estendeva alle tre campate della navata centrale, esso fu ritrovato nel 1897 e venne datato intorno al XII-XIII secolo. É diviso in diversi riquadri con decorazioni varie per argomento e tecnica, in cui si distinguono le parti originarie da quelle rifatte. Infatti le rappresentazioni delle lotte dei mostri sono visibili nei resti più antichi, riprodotte dai restauri, dove vi sono le scene bibliche di Eva sedotta dal serpente e di Daniele nella fossa dei leoni. Inoltre agli inizi del secolo XIII si attribuisce anche la costruzione della cripta che appare interessante per il reperto dell'altorilievo del Pantocratore, il quale proviene dal parapetto dell'ambone o dal pontile sovrastante la cripta. Questo significativo pezzo scultoreo è stato datato tra il 1220-1230 ed è attribuibile alla cerchia antelamica. Al centro di questa decorazione scultorea, entro una mandorla che racchiude il cielo stellato, vi è collocato il Cristo Pantocrator seduto in trono e scalzo, con la mano destra elevata a benedire e la sinistra a reggere il libro del creato. Questa figura è circondata da quattro simboli alati degli Evangelisti e da due angeli maestosi ai lati. Di provenienza antelamica sono anche i leoni stilofori, i quali è probabile che prima reggessero le colonne portanti dell'ambone del Duomo. Infine, all'interno dell'edificio, che presenta una pianta cruciforme segnata dalla navata maggiore, dal transetto e dal coro, i pilastri dividono la navata centrale dalle navate laterali. Su quest'ultime si affacciano cinque cappelle per parte, dove sono collocati i più significativi sepolcri, dipinti e opere di illustri artisti del Cinquecento e Seicento quali Bartolomeo Spani, Domenico Cresti detto Passignano, Cristoforo Roncalli detto Pomarancio, Orazio Talami, Palma il Giovane, Annibale Carracci e Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino.
LETTURE CONSIGLIATE
N. Artioli, L' origine della cattedrale di Reggio Emilia, Cesena 1977.
E. Monducci, V. Nironi, Il Duomo di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1984.
W. Montorsi, Il Duomo di Reggio Emilia nei secoli IV e VI: le cinque basiliche, Modena 2002.
STORIA
La Chiesa di Bordone prende il nome dall’omonimo borgo che la ospita, piccolo luogo di origini longobarde, che, a dispetto delle diverse ristrutturazioni effettuate, conserva ancora un nucleo medievale. La pieve sorge precisamente sull’antica strada Francigena, importante tragitto per i pellegrini, in quanto costituiva la principale rete di collegamento, in età romana, tra Parma e Lumi, mentre in età longobarda, rappresentava l’unica possibile via di comunicazione tra la Toscana e la pianura Padana. La Chiesa di Santa Maria Assunta, essendo disposta in uno dei punti cruciali di questo percorso, si trova, infatti, circa alla metà della salita appenninica, divenne tappa fondamentale dei pellegrini che viaggiavano verso Roma. L’esistenza della Pieve, viene citata in un documento ascrivibile al 1005, anche se recenti operazioni di recupero, hanno rivelato la presenza di fondamenta molto più antiche, alcuni resti risalirebbero ad un antico maniero che presidiava la strada, risalente al VII secolo. Data la sua conformazione attuale, la struttura si presenta oggi radicalmente modificata dai diversi rifacimenti realizzati nel corso del tempo: ad esempio tra il 1640 e il 1670 venne compiuta una profonda ristrutturazione sulla scorta delle direttive Tridentine.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La chiesa ascrivibile all’età romanica è strutturata a partire da un edificio precedente, risalente al IX secolo, con abside e pietra squadrata. Tuttavia, recenti ricerche storico artistiche hanno messo in luce la possibilità che anche la costruzione carolingia fosse stata innalzata su una chiesa bizantina (VI secolo), che si presuppone fosse a pianta centrale, con abside a est. La Pieve risulta oggi costituita da navata unica, chiusa da un’abside quadrata, e delle cappelle laterali, risalenti al XVI e XVII secolo. Nella terza cappella a destra si apre un portale in arenaria, che all’esterno presenta una lunetta in bassorilievo raffigurante la Madonna con il Bambino e San Giovanni. All’interno della struttura sono conservate sculture d’incerta collocazione, ma di grande prestigio artistico, vi sono ad esempio due leoni stilofori, in origine posti alla base del portale, altre sculture come le lastre della Deposizione e della Glorificazione di Santa Margherita, e le statue di San Pietro e San Paolo. Gli interventi scultorei sono tutti databili entro il primo ventennio del XIII secolo e provengono dalla pieve di Fornovo, dove facevano parte di una piattaforma scorporata alla fine del XVI secolo. La cassa del pulpito era costituita da tre lastre raffiguranti, come già posto, la Deposizione, l'Incoronazione della Vergine e, presumibilmente, in quanto persa, l'Ultima Cena. Lo stile compositivo delle lastre rimanda inevitabilmente alla cultura antelamica. L’Incoronazione della Vergine presenta al centro la figura di Cristo, racchiuso da una mandorla ad otto lati, sorretta dalla simbologia degli evangelisti; Maria è presentata come una figura molto giovane mentre un angelo porge la corona a Cristo, e degli angeli escono da nuvole disposte verticalmente, sulla sinistra è disposta una figura femminile che ricorda Santa Margherita. Vi sono poi tante altre sculture erratiche, ad esempio: due colonne raffiguranti delle statue, forse derivate anche queste da un portale smembrato, ritraggono un vescovo con pastorale ed un altro personaggio inserito in una cuspide gotica.
LETTURE CONSIGLIATE
S. Stocchi “Italia-Romanica/l’Emilia-Romagna”, Jaca Book, Milano, 1984.
STORIA
La Pieve romanica di San Prospero è situata a Colecchio, comune della provincia di Parma, collocata sulla collina che domina il paese. Venne edificata nell’XI secolo in stile romanico lombardo, sulle rovine di un antico tempio pagano. In seguito fu dedicata al culto del santo di cui porta il nome, vescovo che nel medioevo godeva a Reggio-Emilia di una forte devozione. Secondo le testimonianze di alcune fonti trecentesche alla pieve venne sin da subito collegato un altro edificio, l’ospedale di Santa Maria, struttura retta dai cappuccini e dove oggi trovano spazio i locali parrocchiali.
Le linee romaniche della chiesa sono oggi difficilmente rintracciabili. Numerosi sono stati, infatti, gli interventi effettuati sulla struttura nel corso dei secoli, tanto da comprometterne in modo radicale l’aspetto originale. I primi restauri risalgono al XIII secolo, periodo nel quale vennero effettuate le maggiori operazioni di ripristino della chiesa: ascrivibili a tale data sono gli ampliamenti della mappatura originale e la costruzione dell’alto presbiterio, delle tre navate, ancora oggi presenti, e della torre campanaria. Nel XV secolo si registrarono operazioni di ripristino, come la soppressione delle capriate, seguita dalla costruzione delle volte e delle cappelle laterali. Nel XVI secolo vennero in seguito aggiunte, ai lati della chiesa, sei cappelle che poi saranno demolite durante i successivi provvedimenti di restauro. La situazione non si modifica sostanzialmente fino al 1922, quando si decise di riportare la chiesa al suo splendore originario. Fu durante questa lunga operazione di ripristino che venne ricostruita la facciata e una nuova torre campanaria in stile romanico, separata dal corpo della chiesa, e modellata su quella del Duomo di Parma. Nel 1935 venne demolita la parte anteriore, e venne inserito nella facciata l’antico portale.
NOZIONI STORICO-ARTISTICHE
La pieve di San Prospero si configura come una struttura di notevole pregio storico artistico. La mappatura della chiesa è di forma basilicale, a tre navate, con tre absidi e i loro relativi altari: dalle fonti documentarie riguardanti la struttura, le absidi laterali risultano ascrivibili all’XI secolo, mentre quella centrale, di forma rettangolare, risale al XII secolo. Nonostante i vari interventi di restauro sembrano però inalterate la parte posteriore della pieve, la base del tiburio e una pietra angolare dell’antico campanile; ma anche la facciata conserva ancora il portale romanico polilobato, con capitelli ornati di foglie e i simboli evangelici. Procedendo verso l’interno della chiesa troviamo ancora elementi dell’XI secolo, come le colonne e i pilastri, che riportano figure zoomorfe e fantastiche. Di considerevole interesse è la vasca battesimale, collocata dal XIII secolo a sinistra dell’entrata: è in calcare a forma di tronco rovesciato ed è ornata da archetti intrecciati tra loro con colonnine in bassorilievo. Al di sopra di questa si nota il rilievo in marmo bianco in stile bizantino con il battesimo di Gesù nel fiume Giordano, testimonianza superstite di una recinzione presbiteriale perduta, ascrivibile al XII-XIII secolo.
LETTURE CONSIGLIATE
S. Stocchi “Italia-Romanica/l’Emilia-Romagna”, Jaca Book, Milano, 1984.
STORIA
La chiesa di San Tommaso di Cabriolo, nel territorio limitrofo a Borgo San Donnino, apparteneva all'Ordine religioso cavalleresco dei Templari, e, probabilmente, le ragioni della sua fondazione vanno ricercate nelle donazioni di proprietà terriere verso il Tempio che coinvolsero alcune delle più prestigiose famiglie parmensi. La magione dovette inizialmente essere una dipendenza dalla domus di Santa Maria Maddalena di Toccalmatto, da cui successivamente si distaccò.
Nello stesso sito un primo oratorio era già attestato nell'XI secolo ma fu il passaggio all’Ordine del Tempio, avvenuto alla fine del XII secolo, che dette impulso alla realizzazione di una nuova costruzione. La tradizione vuole che la chiesa venne intitolata al vescovo di Canterbury all’indomani della sua esecuzione (1170), per celebrare degnamente la memoria di un suo passaggio da Cabriolo avvenuto nel 1167. Oltre alla Rotonda, esisteva anche un ospedale; nel 1230 nel Capitulum seu Rotulos Decimarum della diocesi di Parma, sotto il vescovo Grazia, veniva citata l’Ecclesia de Cacobrolo in plebe Burgi Sancti Domnini. Del periodo templare rimane solo parte dell’abside, poiché dopo il processo, nel 1309, la magione venne saccheggiata e data alle fiamme. Perciò, nonostante il passaggio ai all'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, il complesso dovette rimanere per diverso tempo in stato di semi-abbandono, ma tra la fine del XIV e il principio del XV secolo i nuovi padroni ricostruirono la chiesa riutilizzando parte dell’edificio originario. I cavalieri di Malta mantennero la commenda di San Tommaso fino alle soppressioni napoleoniche quando passò nelle mani di proprietari privati.
NOTIZIE STORICO-ARTISTICHE
La rilevanza architettonica della chiesa ne fa uno dei più insigni oratori cavallereschi dell'Emilia Romagna: San Tommaso mostra ancora oggi nella parte absidale in mattoni i resti della rotonda templare scandita da archi ciechi e decorata da monofore, quella centrale è l’unica originale. La chiesa è costruita in mattoni a vista, con navata unica a pianta rettangolare e facciata a capanna, che venne profondamente ristrutturata nel 1816.
Diverse furono le fasi costruttive che coinvolsero l'edificio: in particolare la prima, di matrice chiaramente romanica, relativa alla muratura dell’abside che precedentemente apparteneva alla chiesa a pianta rotonda del periodo templare. Invece, la navata e la facciata furono costruiti dai Gerosolimitani seguendo un gusto d'impostazione gotica che dovettero riedificare anche il convento adiacente.
La ricostruzione quattrocentesca della chiesa venne conclusa probabilmente con la decorazione pittorica di cui rimangono ancora importanti tracce sulla parete sinistra dell’aula, mentre non si conoscono precedenti testimonianze artistiche.
LETTURE CONSIGLIATE
N. Denti, Guida di Fidenza: storia, arte, attualità, Fidenza 1959.
Nuova Guida di Fidenza, a cura P. Abate, 1965.
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